Intervista realizzata a Jorge Cuña, per Jose Luis Lareo
(Julio, 1999)
La poesia è...
Sviscerare, smascherare quelle verità che il linguaggio abituale crede di possedere. La poesia svolge una funzione affermativa per il linguaggio che utilizza, ma il poeta deve penetrare nel linguaggio, nel ritmo, nella parola con il fine di scoprire sempre ciò che si nasconde, ciò che inganna e dall’interno delle proprie forme artistiche, negarne la funzione affermativa.
“L’uomo trova la sua dimora velando la sua propria morte”. È un verso di una poesia della tua prima epoca. In quest’ordine di cose, la relazione tra il mondo poetico con l’uomo e la sua realtà sarebbe...
Quella dei nostri sentimenti, dei nostri vissuti più essenziali e più reconditi che, essendo in qualche modo esterne nel mito, diventano coscienza e ci danno la dimora dove vive la morte.
Dice J.L. Ageitos nel prologo del tuo primo libro che “tutto questo Serpigo di “umori amari” è un poema di carattere apocalittico in cui la morte è il rifugio e la peste tutta una crescita”.
Nella peste si fonde il sentimento di vita-morte segnato dal lato della morte. La vita si presente nel suo carattere negativo come la morte. In quel periodo, avevo presente uno studio di Artaud – “Il teatro e il suo doppio” –in cui si presentava la trasgressione assoluta della legge nel periodo della peste. C’è in Serpigo un sentimento di festa, la trasgressione come festa vincolata alla stessa peste. Questa relazione intima è un riflesso del dionisiaco che rappresenta il vivere svestendosi, la morte che appare nella sovrabbondanza della vita...
Possiamo dire allora che nella tua poesia si cela un atteggiamento positivo...
Già in Serpigo appare il conflitto tra il poeta che esprime i nuovi miti nei quali cerca di proiettare l’uomo, dandogli una dimora e un destino, e la negazione di ciò che questi miti instaurano. I miti, man mano che degenerano in ideologia e sostengono la dominazione di cui siamo vittima, si schierano contro l'uomo rendendo la ribellione inevitabile. Questa ribellione, che al tempo stesso è apertura, deve riflettersi nel linguaggio e contro la sua funzione affermativa.
Probabilmente un ritorno alla purezza del mitico...
Credo che sia opportuno o meglio ancora necessario, riscattare il mitico nella sua accezione originaria. Mito e logos fusi insieme si ribellano contro il mito degenerato, meglio ancora mitizzato, che ha ormai perso l'essenza del mito e si trasforma in valore mercantile. È fondamentale che il logos si sussuma nel sapere che contiene il mito, sapere che appartiene all’Immaginazione, che si esprime in associazioni insolite e in una dislocazione delle connessioni abituali tra gli eventi. Le immagini mitiche riuniscono un complesso di presignificati in cui i tratti distintivi propri del significato si sommano e fondono (per questo dico presignificati e non significati) e riuniscono anche un insieme di emozioni incompatibili sperimentate simultaneamente. Tale simultaneità entra in conflitto con la logica discorsiva della narrazione (non bisogna dimenticare che tutto il mito è narrazione), conflitto che provoca dislocazioni che da una parte rendono patente la tensione e, dall’altra, ci ricordano la stessa simultaneità.
Gli dei preolimpici, la vertigine dionisiaca...nella tua poetica c’è un’importante preoccupazione per tutto.
È necessario un ritorno ai miti primitivi, alle forze impersonali e alle divinità anteriori agli dei Fondatori dell'Ordine e liberarli dalla loro condanna. E, addirittura, bisogna andare oltre i miti greci fino ad incontrare i miti degli erroneamente chiamati popoli primitivi. Diciamo, quindi, che Serpico è in certa misura un’opera che cerca determinate immagini che, come piccole divinità, generino i poemi e una mitologia. Serpigo cerca i piccoli dei (radici, medusa vegetale, bambola spettrale con artigli di bronzo, lo scriba della notte, pipistrello azzurro... ) che sono la presenza dell’unione del mostruoso e del fecondo che vorrei fosse marcata dal lato del fecondo, ma che temo veda il dominio dell’antagonismo tra l’uno e l'altro. Tuttavia, la tensione non è solo morte-vita, ma è anche contro il fatto stesso dell'apparizione della contraddizione, della disperazione prodotto dalla sua apparizione.
Nel prologo di Moloch, Ino Pereira parla della presenza graffiante dello sradicamento. È, forse, lo sradicamento che produce la lotta dell’uomo contro la propria separazione del cordone ombelicale?
In Moloch il dramma si incarna nella separazione terra-uomo, la terra si presenta come madre divoratrice, fecondità e morte e l’uomo senza radici. Moloch è cosmogonia ed è un libro con una tensione violenta che nasce dalla disperazione. La tendenza a negare la natura, a sostituirla, aumenta il senso di sradicamento e fa sì che la vita si trasformi in morte.
Man mano che l’uomo si inserisce nello sradicamento, appare il carattere divoratore della madre che mostra il suo carattere di mater consumptrix. Nell’uomo appare la morte, questa vita morte che ci vive: lo sradicamento… La morte si trasferisce poeticamente, miticamente alla natura quando appare come madre divoratrice.
E in Mantis, il tuo terzo libro?
Quello che posso dire in riferimento a Mantis, senza dilungarmi troppo, è che inizia con l’evocazione di alcuni amici morti, per poi inoltrarsi nello spazio atemporale della morte che sta battendo lungo tutto il libro e che, nella sua parte finale, sfocia nell'esaltazione del Desiderio. Ma Mantis genera anche un altro atteggiamento poetico a partire dall'altro significato di vaticinio.
Esiste una determinata visione del fluire del tempo e della simultaneità, un’attenzione all’aspetto ritmico del linguaggio che hai sempre tenuto in considerazione. Come hai detto in varie occasioni "vedere che provoca l'apparizione della parola"...
Esiste uno stato del “vedere” diverso da quello abituale; immagini che provocano l'apparizione delle parole, immagini che diventano suono e ritmo. È un mio desiderio il “vedere” il tempo e il passare del tempo simultaneamente. Questa intenzione di simultaneità- che noi, le cose e tutto ciò che è anche in un momento unico- costituisce una delle mie preoccupazioni più intense che rende possibili le scoperte che possono trovarsi nella mia poesia.
Possiamo trovare in te una continua e profonda preoccupazione per la Grammatica...
Il dramma si colloca nella relazione tra i morti e la vita. In questa poesia il dolore si fa carne nel linguaggio, il linguaggio si contorce, si deforma, annienta la Grammatica, i suoi codici convenzionali non servono più, si rompono, si frantumano e l’agonia è la voce del canto.
Si tratta di portare al limite il linguaggio provocando l’esplosione dei suoi codici, nella confusione di volti distinti che, come vetri infranti in un caleidoscopio in cui i vetri sono resti che sbattono tra loro, emozioni che collidono, non offrono una forma definita ma un continuo indefinito; con le parole in trance che rivelano stati d'animo che, a loro volta, si confondono in quello che potremmo definire una sinergia di affetti. Si presenta come uno stato agonico. Si rompe la coerenza lineare in cui le parole si convertono nei frammenti di vetro.
Questo andare contro la coerenza logica delle forme discorsive mina il codice dall’interno stesso del linguaggio...
Si. Non si mina il linguaggio quanto piuttosto il codice del linguaggio. Heidegger già postulava la necessità di rivoluzionare la logica tradizionale alla luce della domanda sull’a essenza del linguaggio e, come dice, "l'essenza del linguaggio risiede essenzialmente dove si manifesta come potere che crea il mondo".
Credo che questo potere che crea il mondo è, per me, l’Immaginazione poetica in cui si produce l’incontro dell’Immaginazione (intesa non come produttrice di fiction, quanto piuttosto come generatrice di rivelazioni in cui si dà una comprensibilità originaria - visione totale e comprensiva) e del logos (il linguaggio alla luce dell'essenza).
Questo incontro dà come risultato, nel poema, che il linguaggio manifesti il suo sapere originario e diventi la dimora autentica dell’uomo.
Una nuova configurazione che mina la logica tradizionale e mostra il valore della figura retorica come manifestazione di un processo in cui la logica si amplia...
La coerenza logico-discorsiva della frase si screpola, si frantuma in molteplici frammenti, schizzi di significato, come se fossero vetri multicolore di un caleidoscopio prima di assumere la forma definita. Gira il caleidoscopio, entrano le parole in collisione da cui sorge il pathos, un'intensità emozionale prodotta dalla violenza della collisione stessa. Questo momento corrisponde alla deviazione che nella figura retorica si produce rispetto al codice del linguaggio. Il caleidoscopio continua a girare senza dar vita a una forma definitiva, un significato univoco. I frammenti diventano fasci multicolore che si proiettano gli uni sugli altri sfumando i limiti senza però perdere la loro fisionomia totale. Si evoca l’indeterminazione a partire da un minimo di determinazione. Indeterminazione che non è puro vuoto ma piuttosto un qualcosa che si riempie con il contenuto affettivo delle parole affini al pathos della collisione, con le immagini evocate da queste ultime che, nella loro confluenza dinamica, rievocano a loro volta un'Immagine determinata. Ed è qui che risiede il senso della poesia.
So che elogi una citazione di Zumthor. Dice Zumthor che Roscellin "sembra aver percepito la voce come un'autorivelazione del linguaggio che costituisce il senso più universale, il luogo dei sensi privati e manifesti. L’esperienza vocale del voler-dire e il non-detto". L’importanza della voce del poema, la sua relazione con l’intonazione...
Il Senso (complesso di sensi) si consegna nell’intonazione della poesia. Prevale il Senso quando la tensione tra la voce e significato, debilitata la semanticità delle parole, si inclina a favore della voce. Quando ciò accade, le parole si presentano nel loro palpito primitivo, nel loro iniziale momento di volo che non arriva alla culminazione; diventano germini di significato, presignificati che ricadono sul Senso e sono, inoltre, immagini non solo sonore, ma immagini sinestesiche cariche di affetto che ci riportano ad evocazioni e relazioni che arricchiscono e rendono più pieno il Senso.
Pertanto, l’intonazione acquisisce un ruolo fondamentale nella concezione della tua poesia. L’intonazione e la voce del testo, le loro relazioni con il senso...
L’intonazione della poesia, naturalmente vincolata al ritmo, il recitato e, dunque, la poesia stessa (non la concepisco senza voce e includo la "voce muta"), si colloca tra la parola parlata e il canto. Si avvicina all'uno o all'altro polo a seconda del maggior o minor grado di autonomia, di preminenza dell'intonazione rispetto alla semantica delle parole. Nello stesso canto, nella messa in musica della poesia, durante le sue diverse realizzazioni notiamo, d'altra parte, questa graduale relazione tra il testo e l'organizzazione sonora, relazione che può arrivare all'estremo in cui prevale la sonorità a scapito del significato, come succede in molti canti melismatici e polifonie medievali (a tale proposito è opportuno ricordare che furono condannati dalla gerarchia romana al ritenere che possedevano un carattere perturbatore e che distraevano dalla Verità - la bugia su cui si fonda il Potere).
Ti riferisci alla relazione intima tra poesia e musica e ai suoi livelli di approssimazione. Per te c’è una vicinanza ineludibile...
Tornando all’intonazione della poesia, l’allontanarsi e avvicinarsi ad un polo o all’altro è indicato dal maggior o minor grado di contenuto semantico. La perdita di quest’ultimo come conseguenza delle risorse poetiche che rompono la coerenza della logica discorsiva (conseguenza che anche per me è data dal ritmo) fa sì che prevalga il suono, l'intonazione e il Senso che ne deriva. È in questo modo che la poesia si avvicina alla musica.
Riassumendo, la frase “il linguaggio sogna il sogno dei poeti” denota un particolare atteggiamento rispetto a chi l’ ha considerato soltanto uno strumento in mano degli scrittori...
Così come pretendiamo di sottomettere, come abbiamo detto, il linguaggio alla violenza di un rito di iniziazione sottomettiamo anche il risveglio, la veglia, il cosciente, affinché attraverso il sonno possa rinascere la coscienza nella confluenza del sonno e della veglia. Un nuovo Sogno che è il Sogno del linguaggio.