COMMENTI ALL’OPERA DI JORGE CUÑA



Xosé Luis Axeitos

Nella 'Introduzione' alla prima edizione di 'Serpigo' (1972)


La dialettica frustrata che emerge dalla lotta tra l’originalità e il codice comunitario viene espressa con chiarezza nelle parole testuali di Jorge Cuña:  “La poesia svolge una funzione affermativa per il linguaggio, che utilizza lo sviluppo della sua materia artistica impregnata di molteplici significati, di infiniti vissuti e sentimenti; e, poiché è proprietà esclusiva di una minoranza di consumatori e, poiché non se ne può staccare, penso che il poeta debba studiare, penetrare il linguaggio, il ritmo, la parola con l'obiettivo di scoprire sempre ciò che nasconde, ciò che inganna; e dall'interno delle proprie forme artistiche, avvelenarle, trasformarle in inutili negandone la funzione affermativa”.

Se vi avvicinate a queste poesie e vi lasciate trasportare, sentirete la vertigine dell'immagine, la festa dionisiaca, la drammatizzazione dell'impotenza...

Nell’estrema drammatizzazione dell’inutilità che è la vita senza farsi notare “l’ego” più di quanto non sia necessario, convertendoci tutti un po' in protagonisti, risiede, a mio parere, la grande scoperta, un codice distinto che potrebbe portarci verso una nuova poetica.





Antonio Domínguez Rey

Nella rivista "Estafeta Literaria", nº 527, Novembre 1973 


La domanda delle origini sboccia quando si rompe il cordone ombelicale che unisce l’essere umano con la natura. M. Buber ha detto che questa rottura trascina verso la solitudine e l’insicurezza cosmica dell’attecchimento iniziale. Il soggetto si sente distanziato. La sensibilità si erge dinanzi al dissidio della promessa materna e dell’aria della vita.

“Serpigo” è una piaga che si diffonde irreparabilmente. Xosé Luis Axeitos lo definisce nel prologo come drammatizzazione dell’impotenza.  Si tratta di questo, delle fondamenta vitali della morte degli opposti della vita.  La morte e la vita combattono nella stessa unità d’azione.

I sintagmi acquisiscono referenze magiche: “catene di serpenti”, “radici di palpebre insanguinate”, “dune del tempo apparso”, “medusa vegetale”, “bambola spettrale, “scriba della notte”, “pipistrello azzurro”, ecc. Sono nella poesia ciò che è concetto nel discorso logico. Sotto di loro battono tre chiavi fondamentali, organizzatrici del corpo: solitudine, apparenza e tempo.

La prima si traduce in isola, il cuore "solo e adesso secco": “qui è tutto ancorato,/ in quest'isola,/recintata/solitaria e naufraga/tra le costellazioni sognate/dove crescono sterili/ il ferro e la parola”. La seconda, nella maschera della natura: “la natura si maschera/in un contrappunto di orge/ e uccelli trascinati”. E la terza è rappresentata dal simbolo dell’impiccato”: “i morti hanno da sempre abitato/ il sangue”.





Antonio Domínguez Rey 

In 'Investimento e rottura del linguaggio. Avvicinamento a Mantis" 


In "Mantis”, la morte per il suicidio di due amici, uno di loro ex compagno di prigione a Carabanchel e l’ambito stesso della prigione determinata da fattori politici, fanno scaturire un'elegia o epos di dimensioni universali. Ma a differenza della poesia critica o sociale, il canto solleva le apparenze, senza annullarle e incide nel fondo agonizzante della circostanza, dal primo movimento di una partita a scacchi, "Pedone 4 Re”, urlando le giocate da casella a casella, attraverso le spranghe di una feritoia – alea jacta est!-, fino all’ultimo battito di un cuore nell'alta marea dell'universo. Ed ecco la particolarità poetica dell’aneddoto.

Per entrare in contatto con la poesia di J. Cuña è necessaria una parentesi culturale che muri il rumoroso ambiente.... Questo stato di eccezione creatrice definisce J. Cuña. Preferisce l'emarginazione sociale della parola alla bugia che la propria apparenza copre. Il linguaggio strumentale è per lui il volto apparente, utilitario, che definisce le relazioni interessate dell'uomo in tutto questo valore di scambio. La parola diventa, quindi, un’occultazione della voce autentica. Bisognerà farla esplodere, affogarla...e cercare di salvare in lei, l'unico filo rintracciabile, un'eco del profondo o del sublime. 

...  Sia Serpigo che Moloch e Mantis cantano con semantica invertita la perdita originale dell’innocenza cosmica e del rivestimento organico che l’uomo si procura per velare il vuoto che presagisce. Questa rottura iniziale provoca un impulso di rincontro o re-ligio, che trasmette alla forma un alone di preghiera o rito liturgico... Da questo nucleo generatore procedono anche l’inversione e la rottura del linguaggio.





Rafael Chacón Calvar

In 'Poemi, 1972 - 1992', di Jorge Cuña Casasbellas


Non bisogna, dunque, torcere il collo a nessun cigno poetico, ma piuttosto al linguaggio e alla sua forza affermativa. Negargli la sua vocazione di costruttore di identità utili solo per la maschera di ciò che è produttivo. Un vuoto che mentre si riempie si ingrandisce.

Il poeta attorciglia il linguaggio e lo smembra; diffida della grammatica e delle sue gerarchie. Diffida della passione della Frase per il suo essere universale ed enunciativa. Lotta contro e nel linguaggio che parla di se stesso e si mostra in tutta la sua balbuzie, nell'intento di nominare ciò che non è stato ancora creato e ciò che è stato da sempre distrutto. Disfacendo i circoli e le linee in cui il tempo si ama e cercando gli istanti senza tempo.





Miguel Ángel Cuña

In "Introduzione a Hipofanías" (2001)


Invocare è sentire la mancanza, soffrire l'ansia dell'attesa, annullare la distanza, l'esilio che ci separa da quello che invochiamo. Quando lo sciamano suona il tamburo, fatto con uno dei rami dell'Albero Cosmico e batte ritmicamente i piedi contro la Terra - casa comune di spiriti e uomini - si dispone a penetrare con magica cavalcata nel regno dell’incerto, nel Centro del Mondo”. Quando il contadino deposita l’offerta e bisbiglia la sua certezza si unisce al seme, essere ancora indeterminato, la speranza di altre radici. Quando convocate da Jorge Cuña si presentano le forze, gli enti e le emozioni che erano rimaste occulte sino ad oggi – Ipofonesi –anche noi siamo partecipi di questi poderosi istanti dello sciamano e del contadino con un'intensità estrema, dal momento che la nostalgia dell'appartenenza alla natura invocata è così profonda che sembra che tocchiamo con la pelle la nostra origine e riusciamo a vincere, in ogni verso, in ogni pagina, in ogni occasione le rigide scritture con le quali il potere ci va portando via la libertà e la vita.